Uberto Dell'Orto

Dell'Orto Uberto

Milano 1848 / Milano 1895

Pittore, Incisore
Biografia

da A. M. Comanducci ediz 1962
Nato a Milano il 6 gennaio 1848, morto nella stessa città il 29 novembre 1895. Laureato in ingegneria si dedicò invece alla pittura. Fu allievo della scuola di Giovan Battista Lelli e di Eleuterio Pagliano. Dipinse paesaggi di alta montagna, della Brianza, vedute dei laghi, con grazia, robustezza e sentimento. Nei ritratti si accosta alla maniera di Daniele Ranzoni e di Tranquillo Cremona. Gelosissimo della sua produzione artistica, ricomprò più volte quadri suoi venduti alle esposizioni e fece copie, per conservarle nel suo studio, di ritratti eseguiti per commissione. Nel 1896, in Milano, nel palazzo della Permanente, per onorare la sua memoria fu organizzata una mostra postuma, dove figurarono 154 dipinti, fra paesaggi e ritratti. I suoi quadri sono in massima parte custoditi dai nipoti, in Milano; ma figurano anche in pubbliche gallerie ed in collezioni private. Delle sue numerose opere si ricordano: "Sole d'aprile" e "Pastorella", di proprietà del Re; "Alti pascoli (Maloja)", nell'Accademia di Belle Arti di Milano; "Artiglieria da montagna", nella Galleria d'Arte Moderna di Milano; "Giogo del San Bernardino", di proprietà del Ministero della Pubblica Istruzione, già premiato con medaglia d'oro all'Esposizione Internazionale di Berlino nel 1891 e attualmente nella Galleria d'Arte Moderna di Roma; "Riva di Lecco"; "Sant'Antonio in Val Furva"; "Ritratto di donna", già proprietà di Pompeo Mariani; "Aggiustatura di vele"; "Vecchio contadino"; "Il tagliapietre (Suna)"; "Le rive dell'Adda"; "Carenno"; "La grande marina di Capri"; "Al ballo". Eseguì anche una ventina di acqueforti alcune ad effetti grandiosi e fra esse: "Darsena" ed il "Casolare in montagna"; "Aspettando la posta a Capri"; "Il pollaio"; "In lettura"; "Interno di corte rustica"; "Una baita"; "Nel porto di Viareggio"; ecc.
 
 

da Le Biennali di Venezia - Esposizione 1895
Nato a Milano. È paesista e ritrattista.
A Torino nel 1880 esponeva i quadri «Sulle Alpi» e «Spiaggia di Luino»; alla Permanente di Milano nel 1886 «Crepuscolo a Madesimo» e alcuni ritratti i quali attrassero vivamente l'attenzione del pubblico.
Alla Mostra milanese del 1894 figuravano i suoi robusti paesi «Al passo d'Adda», «Ai piedi del Monte Rosa», «Primi pascoli», «Sole morente».


da Le Biennali di Venezia - Esposizione 1922
di Raffaele Calzini
Nella Milano neoromantica visse e tenne studio e passò, quasi ignorato dal grande pubblico: di animo estremamente mite e dolcissimo aveva un atteggiamento sempre un po' timido, scontroso e assente come se la nostalgia delle montagne e dei laghi velasse il suo spirito.
La sprezzante semplicità dell'abito, l'aggrottare frequente delle sopracciglia per la miopia, la barba biondiccia e la capigliatura un po' arruffate davano un'apparenza di sdegnosità a quella sua innata malinconia.
Parlava poco di se e della propria arte, evitava la compagnia dei critici e dei giornalisti, le tentazioni della vita cittadina.
Si chiudeva per giornate e giornate nello studio appartandosi in una specie di esilio: si coricava la sera avendo il pensiero fisso ai quadri, alle mestiche, alle vernici, ai colori e si ridestava il mattino sotto l'assillo dello stesso tormento, Talvolta si partiva dallo studio come infuriato, senza ben allacciarsi la cravatta o la giacca o senza aggiustarsi in capo il feltro e piombava da Emilio Gola, da Pompeo Mariani per fare confronti, per intavolare discussioni, per chiedere consigli.
La sua probità artistica si manifesta in questo desiderio di perfezione, nel costante senso di autocritica che vigilava i suoi entusiasmi e tormentava la sua ispirazione.
Suo scopo non era acquistar fama ed onori o lucrar con la vendita delle opere; ma dipingere, comunicare la propria emozione con le virtù semplici dell'arte. Alla stanchezza della vita cittadina, agli acciacchi della salute malferma opponeva un'ostinazione nervosa a sostegno di una ribellione volontaria; facendo, operando, appassionandosi al fare e all'operare, ricercando la strada di una perfezione sempre più vicina e sempre inarrivabile.
Per le proprie opere aveva un attaccamento tenacissimo: se ne separava sempre a malincuore.
Di alcuni ritratti che gli costarono più aspra fatica eseguì una copia che conservò nello studio: quando i suoi quadri esposti nelle pubbliche mostre erano venduti, egli pregava amici e conoscenti che glieli ricomperassero per suo conto.
Quelle creazioni d'arte rappresentavano e realizzavano gli stadi del suo tormento e della sua gioia ideali: nella sua vita declinante che si ombrava di presentimenti, mantenevano una loro giovinezza immateriale custodivano i segni del presente e del passato e li serbavano per l'avvenire con un brivido di eternità.
Non avevano ragione di essere, isolatamente; ma nell'insieme, come particolari di un opera più vasta, come punti di partenza e di arrivo di quel suo studiare scrupoloso e continuo sempre in evoluzione, come testimonianza di un progresso guadagnato e raggiunto con faticosa abnegazione.
Amore verso la propria arte originato non da immodesto orgoglio: non da insincerità.
Dipinse paesaggi e figure, qualche affresco, e incise all'acquaforte.
Paesaggi di alta montagna, vedute dei laghi, della campagna brianzola, della primavera lombarda: qualche impressione riportò dal suo viaggio in Africa e dal suo soggiorno a Capri o nella Riviera ligure.
Accanto a Carlo Mancini, a Filippo Carcano, a Mosè Bianchi, a Francesco Filippini, a Eugenio Gignous ha il merito di aver affrontato con pochi altri e nuovamente lo studio del vero e di aver realizzato in Italia, fra i primi quella pittura all'aria aperta che fu anche una gloria dell'impressionismo francese.
Rappresentò la scuola del paesaggio lombardo prima che Giovanni Segantini iniziasse la sua gloriosa dittatura di effimero riformatore e la mantenesse inesorabile per un ventennio.
Alla memorabile Esposizione Internazionale d'arte della città di Venezia dei 1895 il paesaggio italiano era rappresentato significativamente da Guglielmo Ciardi, Lorenzo Delleani, Bartolomeo Giuliano, Giovanni Fattori, Pietro Fragiacomo, Francesco Gioli, Luigi Gioli, Emilio Gola, Mario De Maria (Marius Pictor), Giuseppe Pellizza da Volpedo, Giovanni Segantini: Uberto Dell'Orto vi esponeva il grande quadro "Artiglieria da montagna" ora alla Galleria d'arte moderna del Castello Sforzesco.
Nei ritratti più interessanti e più solidi si accosta alla maniera affascinante del Ranzoni e del Cremona: lo scrupolo di rendere tutto il vero e soltanto il vero è trascurato per ricercare e rendere l'espressione più intima e più spirituale del modello; il volto senza ridursi ad una maschera è principalmente un'espressione un giuoco istantaneo e fuggevolissimo della fisonomia, una sintesi della vita realizzata con la massima economia del segno in una vibrazione e in un accordo di colori.
Nato a Milano il 16 gennaio 1848 e morto il 27 novembre 1895, Uberto Dell'Orto aveva studiato alla scuola di Giovan Battista Lelli e di Eleuterio Pagliano.


Bibliografia

A.M. Comanducci - Pittori italiani dell'Ottocento - Milano 1934
A.M. Comanducci - Dizionario illustrato pittori e incisori italiani moderni - II ediz. Milano 1945
A.M. Comanducci - Dizionario illustrato pittori e incisori italiani moderni e contemporanei - III ediz. Milano 1962
L. Servolini - Dizionario illustrato incisori italiani moderni e contemporanei - Milano 1955

R. Calzini - Uberto Dell'Orto pittore - Roma/Milano 1921

L. Vitali - L'Incisione italiana moderna - Roma/Milano 1934

Thieme Becker  - Kunstlerlex - 1932

Natura ed Arte - 1895/96

L'Illustrazione italiana - 1895

Corriere della Sera - 1922

L. Callari - Storia dell'Arte contemporanea italiana

 

Catalogo I Esposizione Internazionale d'arte della Città di Venezia - 1895
Catalogo XIII Esposizione Internazionale d'arte della Città di Venezia - 1922



 

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